Lo scorso autunno, io e mio marito siamo entrati in una comunità alla quale nessuno vorrebbe appartenere: quella di chi ha subito la perdita di un bambino.
Quando sono iniziati i piccoli segnali, ho cercato di non farneticare. Con il mio primo figlio ho fatto molte visite in ospedale per perdite occasionali. Questa gravidanza sarebbe stata probabilmente la stessa. Ho fissato il medico mentre esplorava il mio pancione con la sonda dell’ecografia, cercando un battito cardiaco. Attendevo che dicesse la stessa frase che aveva pronunziato riguardo al mio primo figlio: “C’è un piccolo bambino che si muove là dentro!” Ma la stanza era in silenzio. Continuò a dirci che non riusciva a sentire il battito cardiaco, il test del sangue mostrava che i miei livelli ormonali erano molto bassi e di aspettarci a perdere il bambino quella settimana.
La mattina seguente, mi sono abbracciata le gambe al petto mentre iniziavano i crampi. Ho stretto la mano di mio marito. “Non doveva andare così,” ho pianto. “Non voglio perdere il mio bambino.”
Se non conosci già qualcuno che ha subito una perdita, è probabile che lo farai in futuro.
Nelle settimane successive, io e mio marito abbiamo vissuto un lutto schiacciante. Non è arrivato lentamente; non si è accumulato silenziosamente. Piuttosto, ci ha sommerso e coperto. Ci sentivamo appesantiti, come se stessimo soffocando sotto il peso della tristezza. I nostri gridi sembravano attutiti da mucchi di neve.
Circa il 15-25% delle gravidanze riconosciute termina in un aborto spontaneo. Se non conosci già qualcuno che ha subito una perdita, è probabile che lo farai in futuro. A chi non ha vissuto un aborto, può sembrare di non sapere come aiutare coloro che amano quando vivono questa esperienza. Come possiamo offrire supporto? Come possiamo incoraggiarli nel loro dolore unico?
Nel bel mezzo del nostro lutto oppressivo, avevamo una comunità locale di familiari – la nostra famiglia fisica e quella spirituale in Cristo – che insieme ci ha aiutato a superare quest’onda di dolore. Anche se c’erano ancora ferite che non potevano guarire, hanno assistito e si sono presi cura di noi.
Ecco quattro modi in cui ci hanno sostenuti nel nostro dolore:
1. Hanno soddisfatto i nostri bisogni fisici.
Nel lutto e nella tristezza, attività quotidiane possono sembrare insormontabili. Alcune donne sono paralizzate anche da dolori fisici e complicazioni legate alla perdita, rendendo difficile anche il lavoro normale.
Sono grata per la varietà di cibo che è stata portata a casa nostra: abbiamo ricevuto pasti cucinati in casa e generi da riscaldare al microonde o semplicemente afferrare dal bancone quando necessario. Questi doni di cibo sono stati una benedizione per mio marito e per me. Se cucinare o preparare dolci non è un modo in cui puoi servire, ci sono molte altre opportunità per soddisfare i bisogni fisici di chi ha vissuto un aborto spontaneo. Offrire di badare ai loro figli o di occuparsi delle faccende domestiche può essere un modo per incoraggiare i tuoi amici che soffrono.
2. Hanno riconosciuto il nostro lutto.
Tendiamo a fare confronti. Comperiamo quasi ogni aspetto delle nostre vite l’uno con l’altro, per vedere chi sta meglio e chi sta peggio. La sofferenza non fa eccezione. Nel mio cuore, a volte mi sono sentita in colpa e sciocca per il dolore che mi accompagnava ogni giorno.Potrebbe andar peggio. Dovrei semplicemente farci l’abitudine. Nel tentativo di confortarci, abbiamo ricevuto commenti come: “Oh beh, è la vita.” Una persona ha riso affermando: “Beh, almeno il tuo altro figlio non avrà concorrenti ora!” Spesso mi sono chiesta se quello che stavo vivendo potesse essere etichettato come lutto.
Ma un aborto spontaneo è veramente lutto, e se manteniamo la posizione pro-vita, non dovremmo sminuire il dolore dei nostri fratelli e sorelle che hanno conosciuto questa perdita. È una perdita perché la concezione rappresenta una nuova vita; e la perdita di qualsiasi vita, per quanto piccola, porta lutto.
Il lutto deve essere vissuto, altrimenti si manifesterà in altri modi. Coloro che ci hanno aiutato a superare la nostra valanga di dolore sono stati quelli che l’hanno riconosciuto. Ci hanno chiesto come stavamo (anche molte settimane dopo l’accaduto), sono stati pazienti con la nostra tristeza, hanno pregato per noi e con noi, e hanno inviato cartoline, fiori e messaggi di condoglianze. Non ci hanno derisi quando siamo rimasti tristi, ma al contrario ci hanno abbracciato. Ci hanno ascoltato mentre tentavamo di esprimere il nostro dolore, balbettando tra le parole.
Un episodio di questo è impresso nella mia memoria. Ho incontrato una collega mamma in bagno a chiesa. Mi ha chiesto come stavo, e io ho risposto di stare bene. Con le lacrime agli occhi, ha risposto a voce tremante: “Mi dispiace così tanto per la tua perdita.” Ha dato un’occhiata al suo bambino che dormiva nella culla. “Non riesco a immaginare come ti senti.” Quel momento, con una donna che conoscevo a malapena, ha significato per me molto più di quanto lei probabilmente realizzasse.
3. Hanno condiviso le loro storie di lutto.
Come ho accennato sopra, a causa dell’aborto, io e mio marito siamo stati accolti in una comunità. Per quanto odiassimoil perché eravamo parte di questa comunità, eravamo estremamente grati di non dover affrontare tutto questo da soli.
Sapere che qualcun altro avesse provato questo intenso dolore mi confortava, facendomi sentire normale. Sapere che qualcun altro si facesse le stesse domande, ma fosse stato sostenuto da Dio nella fede, mi incoraggiava. Sapere che qualcun altro era riuscito a superare questo dolore, a ritrovare il sorriso e a ricordare il loro piccolo senza lacrime, mi dava speranza. Sapere che qualcun altro vedesse questo dolore trasformato nella propria santificazione, in un ministero o in una parola di conforto per un altro, mi infondeva forza.
Desideravo sentire altri dire semplicemente: “Mi dispiace per la tua perdita. Anche io ho provato questo dolore.” Quelle semplici parole mi davano coraggio.
4. Ci hanno ricordato l’amore di Dio.
Le persone che hanno incoraggiato maggiormente la nostra famiglia ci hanno riportato ai piedi della croce per ricordarci l’amore di Dio: Siamo amati dal Padre che ha dato il Suo unico Figlio a una morte orribile, umiliante e dolorosa per salvarci dalla condanna eterna e dalla sofferenza (Giovanni 3:16). Siamo amati dal Figlio che ha dato se stesso per noi. Gesù è risorto, e ponendo la nostra fede in lui, anche noi saremo risuscitati a vita eterna (Romani 6:5)—affidandoci con fiducia alla promessa di Dio riguardo ai nostri piccini che abbiamo perso (Matteo 19:14-15; Atti 2:39). Siamo costantemente abitati dallo Spirito, che porta le nostre preghiere al Padre (Romani 8:26-27).
Ci sono stati molti momenti in cui mi sono trovata con i pugni serrati e gli occhi velati, chiedendomi come Dio potesse ancora amarmi. Avevo bisogno disperatamente di quelle persone per avvolgermi tra le braccia e predicare il Vangelo a me. Avevo bisogno che riflettessero il carattere di Dio mentre si sedevano con me più volte, ripetendomi la verità che conoscevo e che avevo ascoltato solo il giorno prima, ma che stavo ancora lottando per fidarmi fosse vera. Sì sorella, sì, ti ama ancora.
La mancanza di comprensione non ti rende inadeguato.
Possiamo sentirci paralizzati quando coloro che amiamo soffrono in un modo per noi inconcepibile. Ma non è detto che se non comprendi completamente cosa stiano affrontando, non puoi offrire qualcosa di valore. A volte, ciò di cui ha bisogno una persona sofferente è solo di qualcuno che riconosca il loro dolore, o qualcuno che offra una mano d’aiuto. Se non altro, porta loro il Vangelo. Ciò che può sembrare a te un gesto piccolo e insignificante può costituire per loro un’altra manciata di neve tolta dalla loro valanga.